Ricordo di Guglielmo Minervini

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La prima volta che l’ho incontrato ero una stagista spaventata, senza esperienza, alle prime armi; l’ultima ruota del carro di un grande quotidiano locale buttata sul campo con l’obbligo di tornare in redazione con un’intervista. Non avevo mai intervistato un assessore regionale, sapevo da dove iniziare ma avevo paura di dimenticare tutto alla prima domanda. Ero come sempre in anticipo all’aeroporto K. Wojtyla di Bari per una conferenza sui trasporti. L’assessore in questione era Guglielmo Minervini, alle Infrastrutture e Mobilità durante la giunta Vendola. I politici mi inquietavano particolarmente, sempre troppo di fretta, troppo prevenuti nei confronti della stampa, sicuramente più preparati di me. Volendo avrebbero potuto spedirmi a casa in un nano secondo senza possibilità di replica, dall’alto della loro frettolosa supponenza.
Tuttavia ci misi qualche minuto per capire che Guglielmo, come lo chiamavano i miei colleghi in assoluta tranquillità, era diverso.
“Assessore” gli dissi per attirare la sua attenzione. Mi guardò con i suoi occhietti piccoli ma profondi e mi rispose “tu sei nuova e io sono Guglielmo”.
Non era un belloccio, non faceva il “piacione”, era un politico serio, dedito al su lavoro nel quale credeva fermamente, sempre, comunque. Venni a sapere più avanti che lui era il vero padre di Bollenti Spiriti quando negli anni precedenti si era occupato di Politiche giovanili. Credeva nei giovani e nella potenza delle idee come primo passo per una rivoluzione culturale. Era piccolo di statura ma la larghezza della sue spalle e la grandezza della sua mente si intuivano da subito, appena apriva bocca. Non aveva mai abbandonato la sua cadenza molfettese, era fiero delle sue origini e legato profondamente alla propria terra. Anche quando il peggior dei mali lo ha colpito vigliaccamente non ha mollato l’osso ed è tornato al suo vecchio amore, le politiche giovanili. La sua lotta contro il caporalato, le ingiustizie sociali e razziali hanno contraddistinto la sua persona, la carriera, fino all’ultimo giorno.
La mia prima intervista a lui andò bene, non fece nulla per agevolarmi, non mi trattò come scolaretta ma semplicemente come una professionista che svolgeva il suo lavoro, nel perfetto rispetto dell’essere altro.
L’ho intervistato più volte nella mia carriera, l’ho amato e rispettato profondamente perchè “politico in via d’estinzione” come l’ho sempre definito. E, quando l’ho incontrato al Rigenera, già segnato da un male che lentamente prendeva possesso del suo corpo, ma mai della sua mente, ricordo di aver pensato fosse un grande onore per Palo ospitare un uomo rivoluzionario nel suo modo di pensare. “Io voglio essere portatore di una speranza possibile, di una politica diversa” aveva dichiarato lui stesso durante uno dei suoi tanti incontri con i giovani. Ha definito il laboratorio urbano palese un “detonatore culturale”: ci aveva visto lungo Guglielmo, anche se io ho sempre continuato a chiamarlo ASSESSORE.